Pablo Neruda

    Calice di vino
    Pablo Neruda (1904-1973), il poeta civile contro le ingiustizie sociali, il poeta impegnato in politica, il poeta dell’amore, il poeta tuttora tra i più amati e i più letti, nel 1954 pubblica il primo libro delle Odi elementari.

    L’aggettivo allude alla semplicità dell’oggetto della poesia, che celebra la più diretta quotidianità, quella degli alimenti, i più semplici e popolari. Usando un linguaggio immediato, accanto alla patata, il pane, il pomodoro, la cipolla, l’olio, il carciofo e così via, Neruda dedica un’ode anche al vino. Il vino è il figlio della terra, è il frutto del lavoro paziente, è l’occasione della socialità, è il trionfo della vita, è il tramite dell’amore. E infatti la parte centrale dell’ode si concentra sui paragoni tra i corpo della donna ed elementi enoici per un’esaltazione dei sensi, per poi tornare a riprendere i temi della socialità del vino e del lavoro comune di uomo e natura per produrlo.

    Vino color del giorno,

    vino color della notte,

    vino con piedi di porpora

    o sangue di topazio,

    vino,

    stellato figlio

    della terra,

    vino, liscio

    come una spada d’oro,

    morbido

    come un disordinato velluto,

    vino inchiocciolato

    e sospeso,

    amoroso,

    marino,

    non sei mai presente in una sola coppa,

    in un canto, in un uomo,

    sei corale, gregario,

    e, quanto meno, scambievole.

    A volte

    ti nutri di ricordi

    mortali,

    sulla tua onda

    andiamo di tomba in tomba,

    tagliapietre del sepolcro gelato,

    e piangiamo

    lacrime passeggere,

    ma

    il tuo bel

    vestito di primavera

    è diverso,

    il cuore monta ai rami,

    il vento muove il giorno,

    nulla rimane

    nella tua anima immobile.

    Il vino

    muove la primavera,

    cresce come una pianta di allegria,

    cadono muri,

    rocce,

    si chiudono gli abissi,

    nasce il canto.

    Oh, tu, caraffa di vino, nel deserto

    con la bella che amo,

    disse il vecchio poeta.

    Che la brocca di vino

    al bacio dell’amore aggiunga il suo bacio

    Amor mio, d’improvviso

    il tuo fianco

    è la curva colma

    della coppa

    il tuo petto è il grappolo,

    la luce dell’alcol la tua chioma,

    le uve i tuoi capezzoli,

    il tuo ombelico sigillo puro

    impresso sul tuo ventre di anfora,

    e il tuo amore la cascata

    di vino inestinguibile,

    la chiarità che cade sui miei sensi,

    lo splendore terrestre della vita.

    Ma non soltanto amore,

    bacio bruciante

    e cuore bruciato,

    tu sei, vino di vita,

    ma

    amicizia degli esseri, trasparenza,

    coro di disciplina,

    abbondanza di fiori.

    Amo sulla tavola,

    quando si conversa,

    la luce di una bottiglia

    di intelligente vino.

    Lo bevano;

    ricordino in ogni

    goccia d’oro

    o coppa di topazio

    o cucchiaio di porpora

    che l’autunno lavorò

    fino a riempire di vino le anfore,

    e impari l’uomo oscuro,

    nel cerimoniale del suo lavoro,

    e ricordare la terra e i suoi doveri,

    a diffondere il cantico del frutto.

    Giovanni Casalegno

    (P. NERUDA, Ode al vino e altre odi elementari, a cura di G. B. De Cesare, Firenze, Passigli, 2002)

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