didattica a distanza

La DAD in teoria e in pratica. Risposta a Paola Mastrocola e a Chiara Saraceno

    Paola Mastrocola e Chiara Saraceno hanno espresso sul quotidiano La Stampa la convinzione che l’interruzione della scuola e il ricorso alla DAD o didattica digitale possa presentare alcuni lati positivi, come il recupero di spazi di solitudine e di riflessione, la possibilità di dare spazio alla creatività svuotando la giornata da impegni frenetici, l’occasione per ripensare la didattica e innovare il modo di fare lezione.

    Sulla carta, potrebbero sembrare argomenti stimolanti.
    Perché non vedere il lato positivo di una situazione difficile? Perché ostinarsi a volere il ritorno alla scuola in presenza? Non sarà per ragioni che non hanno a che fare con la sacra missione di studiare e imparare? 

    Didattica a distanza: tutte le problematiche

    Patrizia Scanu risponde a Paola Mastrocola e Chiara Saraceno

    Nella realtà, invece, ragionamenti di questo tipo, che rimangono su un piano astratto, tendono a ignorare alcuni dati di fatto di cui si sta parlando assai poco nei media. Provo a farne una sintesi parziale, basata sull’esperienza diretta e su alcuni dati della ricerca.

    1. La scuola non è il luogo dove si travasano informazioni, ma quello in cui si accendono fiamme di conoscenza, attraverso il dialogo, il confronto, la relazione, la condivisione, l’emozione della scoperta.
    Gli esseri umani sono intimamente sociali, hanno un corpo e l’assoluta necessità del contatto fisico, dei legami, della gioia e della serenità dell’apprendere insieme, attraverso l’azione, la parola e la comunicazione non verbale. Noi impariamo meglio ciò che associamo a esperienze vitali e positive.
    Nella DAD tutto questo è mortificato o assente. Per quanto ci si sforzi, aspetti fondamentali dell’educazione scolastica, come l’educazione affettiva ed emotiva, l’inclusione, l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto e l’empatia sono pressoché esclusi, con danni tanto più gravi quanto più giovani sono gli scolari. Ma sono escluse anche tutte le attività che si possono svolgere solo in presenza, come le attività di laboratorio, le verifiche scritte serie, i viaggi e le visite di istruzione.

    2. La DAD non è un’attività didattica liberamente scelta dal docente né richiesta dagli studenti. Se lo fosse, sarebbe certamente utile e stimolante, almeno come modalità aggiuntiva e non sostitutiva della didattica in presenza. Ma dove c’è costrizione, non ci può essere motivazione. Questo vale per i docenti e per gli studenti, i quali dicono in modo pressoché unanime che la DAD è demotivante, faticosa, triste.

    3. Ai ragazzi è stato tolto tutto: oltre alla scuola, le amicizie, le relazioni sentimentali, lo sport, il gruppo dei pari, lo svago, i viaggi, il divertimento, le feste, i nonni. Sono stati colpevolizzati come untori, proprio loro che sembrano ben poco toccati dal virus.
    Con uno sforzo di empatia, possiamo provare a metterci nei loro panni? Noi lo avremmo accettato?
    Gli adolescenti stanno male e nessuno sembra accorgersene. Basta chiedere loro come si sentono, per sentire risposte inequivocabili: si sentono in prigione, soffocati, privati del diritto di fare le esperienze necessarie alla loro crescita. Parlano di vita rubata, di tristezza, di peso, di mancanza di energia e di senso. Molti di loro scompaiono nel silenzio delle loro caselline sullo schermo, finché non si presentano più. Non di rado, sono i più bravi, quelli che investono di più sulla scuola e che amano leggere.

    4. Sono aumentati in misura preoccupante la dispersione scolastica, con punte drammatiche del 10% e più, come testimonia una ricerca del CENSIS di giugno 2020, le violenze domestiche (i traumi cranici da abuso si sono decuplicati durante la quarantena, secondo quanto emerso a ottobre al 32° Congresso dell’Associazione Culturale Pediatri), la dipendenza dal digitale, a cui sono condannati anche se non vogliono, l’ansia, lo stress post-traumatico, la depressione, i suicidi, i disturbi dell’alimentazione, l’isolamento sociale completo, la regressione delle competenze cognitive e sociali, drammatica nei ragazzi autistici.
    Secondo uno studio dell’ospedale Gaslini, l’86% dei minori aveva mostrato segni di disagio la scorsa primavera, stando a quanto riferito dai loro genitori. Basta leggere quanto riassunto nel
    Report di settembre 2020 Le conseguenze psicologiche del periodo pandemico su bambini e adolescenti ed azioni necessarie del Comunicato degli psicologi (www.comunicatopsi.org). Inoltre, il 42% degli alunni vive in abitazioni sovraffollate e non ha uno spazio tranquillo per studiare. Non dimentichiamoci che anche i loro genitori sono spesso stressati dalla perdita del lavoro o dell’attività.
    Quale cultura sarà mai accessibile per loro attraverso la loro traballante connessione a Internet, in condizioni simili, nonostante lo sforzo ingegnoso dei loro insegnanti per intrattenerli? Quale
    beata solitudo potranno mai apprezzare?

    5. Stiamo assistendo a una massiccia desocializzazione delle giovani generazioni, dagli esiti incerti, benché non imprevedibili e di cui non si conosce la scadenza.
    Certo, anche nella prigionia si può trovare qualcosa di buono. Tommaso Campanella scrisse
    La Città del Sole in una buia cella. Non è però una buona ragione per giustificare la reclusione di massa di milioni di scolari.
    A furia di giustificare tutto, finiremo con il considerare ineluttabili queste misure estreme, dimenticandoci che siamo l’unico Paese europeo a non aver riaperto le scuole in primavera e che in Svezia non le hanno mai chiuse, riportando solo lo 0,05% di casi COVID-19 nella popolazione fra 0 e 19 anni. La stessa percentuale della Finlandia, che ha interrotto la scuola e attuato il
    lockdown. Nessuna domanda, ovviamente, sul perché di questa interessante identità di risultati.
    Ma l’essere umano è così adattabile, che finisce per mettere le tendine anche alla finestra della sua cella. Quando non c’è più libertà, però, la scuola non è vita, ma morto indottrinamento, per non dire rieducazione a una nuova e sinistra “normalità”. 


    di Patrizia Scanu
    Autrice, docente di Scienze umane e psicologa.

    Questo elemento è stato inserito in News. Aggiungilo ai segnalibri.

    Un pensiero su “La DAD in teoria e in pratica. Risposta a Paola Mastrocola e a Chiara Saraceno

    1. Silvia Biondani dice:

      Mi sono commossa leggendo finalmente una voce che prende questa posizione. Purtroppo si è deciso che i giovani andavano sacrificati e non mi so spiegare perché anche voci autorevoli, come noti psichiatri che scrivono su testate giornalistiche importanti o professori e scrittori come la Mastrocola, abbiano legittimato la Dad facendo danni enormi, visto che sono seguiti e ascoltati da tantissimi insegnanti. Grazie per queste righe, leggerle mi ha fatto sentire meno sola, perché penso le stesse identiche cose.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Accetto la Privacy Policy

    ×