tavole d'autore - storie d'arte e di cucina
Quanta vita racchiusa in una natura morta – terza parte
Ambita, proibita, preziosa, la carne è opulenza e peccato. Spesso agnelli e cacciagione si offrono, ritratti in mense e cucine, come vittime sacrificali, emblema del Cristo. Siméon Chardin ci regala due oli per introdurre l’alternarsi di festa e penitenza: il Menu de gras e il Menu de maigre. Nel primo, domina la scena un grande pezzo di carne rosseggiante, appeso sulla tavola, in contrasto col biancore ascetico di pesci e uova della seconda tela.
La grande scuola fiamminga di “Natura morta” del XVII secolo contemplava tre generi: la natura morta sfarzosa, la colazione sobria e il dessert. Pieter Claesz, tra i suoi più raffinati interpreti, dedica a un delicato piatto di carne una delle ultime opere ispirate al primo genere, il Banchetto con frutta, ostriche e pasticcio di tacchino (1627, Rijksmuseum Amsterdam).
Come nei trionfi culinari dei secoli passati, l’animale intero, con tanto di piume, introduce la composizione, sulla destra del quadro, al di sopra d’un piatto di ostriche e di un lussureggiante vassoio di frutta. Non mancano, però, inviti alla moderazione e alla riflessione. Accanto al pasticcio – che quasi invoglia ad un assaggio, offerto allo sguardo già privo di una porzione, aperto, col ripieno in bella vista ed un cucchiaio appoggiato su un lato – ricorrono simboli di segno opposto: il pane in evidenza sulla tavola richiama l’Eucarestia, le olive il sacro ulivo.
Negli anni seguenti, Claesz muterà il proprio stile in un sobrio gioco di sfumature monocrome, lontano dalla compiaciuta descrizione del benessere ostentato sulle tavole delle ricche famiglie della borghesia mercantile.
La carne, da simbolo antico di sacrifici cruenti votati alle divinità pagane, diviene simbolo mistico del sacrificio cristiano e, parallelamente, nel medioevo, emblema del peccato, perciò escluso dall’alimentazione dei monaci. Nel rinascimento, status symbol del benessere, è tagliata pubblicamente, con fare spettacolare, dal “trinciante” durante i banchetti.
In epoca moderna, all’”icona” del Quarto di carne di Claude Monet (1884, Parigi, Musée d’Orsay), è impossibile non accostare il Prosciutto di Paul Gauguin (1889, Washington, Collezione privata). Interpreti di una nuova estetica che attribuisce ai soggetti della “natura morta” la stessa dignità e attenzione della figura umana. Un nuovo approccio al reale, liberato dai vincoli accademici.
Il prosciutto, che rappresenta il peccato di gola, in epoca romana era importato dalla Gallia ed è inteso da alcuni artisti alla stregua di una gloria alimentare francese. La Natura morta con prosciutto (1875-1878, Glasgow, Art Gallery) di Edouard Manet lo espone nella sua nuova veste di prodotto commerciale borghese, servito in un prezioso piatto d’argento.
Per concludere la puntata dedicata alla carne, vogliamo però far ricorso a due grandi “eretici” delle arti visive, distanti tra loro ben quattro secoli.
Il primo, Giuseppe Arcimboldo, nato nel 1527, diede avvio alla propria carriera nel 1549, nella Fabbrica del Duomo di Milano. Nel XX secolo, i Surrealisti riscoprirono le sue “bizzarrie” e lo posero tra i precursori dell’arte moderna. Sembra che da giovane, Arcimboldo sia stato influenzato dal gusto per la caricatura di Leonardo. Nel 1562, venne chiamato, alla Corte di Vienna, da Massimiliano II, poco prima della sua investitura ad Imperatore del Sacro Romano Impero. Si dice che l’imperatore Massimiliano II lo avesse voluto per le sue “bizzare” raffigurazioni. Immagini stravaganti, denominate “capricci” o “scherzi”, che colpiscono per l’estrema originalità e la sconvolgente modernità, pur inserendosi nel contesto del Manierismo “grottesco”, e negli ambienti dello Studiolo di Francesco I e della Wunderkammer secentesca.
Nella composizione Il Cuoco, del 1570 (collezione privata), il ritratto è costruito con vari elementi, tra i quali un piatto, che richiama una gorgiera, il viso è “costruito” con una serie di arrosti, il cappello – un piatto di metallo che ricorda il casco dei Conquistadores – è appoggiato sulla testa con fare irriverente da due mani.
L’altro eretico è Andy Warhol che, con Suzie Frankfurt, nel 1959 pubblicò Wild Raspberries, un divertente libro di cucina con torte e cibi illustrati da Warhol e ricette di fantasia, inventate dall’amica Suzie e trascritte a mano dalla madre dell’artista. Un piccolo capolavoro dadaista, con ricette come l’Iguana o l’Omelet Greta Garbo, senza uova e da consumarsi a lume di candela, oppure il Maialino (Piglet, nell’illustrazione qui in basso) alla Trader Vic’s che consiglia allo chef di mandare «uno chauffeur con la sua Cadillac a prendere al ristorante del Plaza Hotel un “suckling piglet”». Provocatorio take-away per l’alta società newyorkese.
Warhol ne stampò poche copie, tracciando i disegni con inchiostro di china. E’ l’inizio del suo successo, dei libri auto-pubblicati e della riproduzione artistica di massa.
Se vi siete persi la prima parte potete leggerla cliccando qui
di Roberto Carretta e Renato Viola