poesie da bere
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli (1855-1912) era un grande amante del vino e un forte bevitore (si ammalò di cirrosi epatica e secondo alcuni fu questa la causa della morte).
Come poeta, però, non è stato un accanito celebratore del bere e dell’ubriachezza, quasi a rimuovere ogni eccesso del piacere (come, del resto, è tipico del poeta). Ne è conferma questa poesia, pubblicata nella seconda edizione di Myricae (1892) e dedicata all’amico poeta e giornalista Giacinto Stiavelli, nonché compagno di sedute alcoliche. È un invito alla morigeratezza, al porre un freno all’ebbrezza, fermandosi al secondo bicchiere, perché il terzo porta al sonno, il quale a sua volta apre le porte agli incubi e fa ritornare angosce nascoste, i fantasmi di un passato doloroso che hanno già procurato tanto dolore.
Ha tre, Giacinto, grappoli la vite.
Bevi del primo il limpido piacere;
bevi dell’altro l’oblio breve e mite;
e… più non bere:
ché sonno è il terzo, e con lo sguardo acuto
nel nero sonno vigila, da un canto,
sappi, il dolore; e alto grida un muto
pianto già pianto.
Giovanni Casalegno
(G. PASCOLI, Myricae, intr. di P. V. Mengaldo, note di G. Melotti, Milano, Rizzoli, 1981)