La rosa

    Siamo nel mese di maggio e non si può non parlare della rosa! E’ fiore ammirato, amato e cantato dai poeti fin dalla più remota antichità, fiore a cui la poesia ha attribuito numerosi significati e valori simbolici. I più lontani fossili di questo fiore sembra siano quelli reperiti in Colorado, ma per noi la storia della rosa ha le sue radici nel Mediterraneo, a Creta, dove compare in decorazioni vascolari già 1600 anni prima di Cristo, e poi nell’Iliade, dove lo scudo di Achille era ornato di rose e dove al corpo di Ettore fu riservato l’onore regale di essere cosparso di un unguento di rose. Questo fiore (in greco ròdon) diede il nome all’isola di Rodi che aveva monete con la sua immagine. Nel V sec. a. C. lo storico greco Erodono descrisse la Rosa Multipetala, attribuendo al re frigio Mida l’averla introdotta in Macedonia al tempo del suo esilio, nel VII secolo. I primi a cantare le rose furono i lirici greci, in particolare Saffo, Archiloco e Anacreonte che ci racconta della loro nascita dalla spuma del mare, nel momento in cui apparve Afrodite su una conchiglia a fior d’acqua, e alla dea dell’Amore questi fiori furono sacri nell’antichità classica. Ben presto, per i contatti con il mondo greco, le rose furono conosciute ed amate anche a Roma, dove vennero cantate da Virgilio, Orazio e Marziale, nonché descritte con interesse naturalistico da Plinio il Vecchio, che ci informa che le specie più diffuse erano la rosa damascena, la rosa centifoglia, la rosa alba e la rosa bifera.

    La rosa fioriva rigogliosa nei giardini romani, ornava le case, rallegrava i banchetti, inghirlandava le statue di Venere, di Giunone e di Flora ed era protagonista di cerimonie e di culti, soprattutto di derivazione orientale, come ci testimonia anche il romanzo di Apuleio, scrittore del II sec. d.C., intitolato Metamorphoseon libri XI, in cui si narra della trasformazione del giovane Lucio in asino, a seguito di una magia, e che solo cibandosi di rose rosse durante una cerimonia in onore di Iside, riesce a recuperare la sua figura umana. Nella tarda latinità (probabilmente nel IV secolo) in onore di Venere, dea della fecondità, della procreazione, dell’amore e della primavera, viene composto il Pervigilium Veneris, un poemetto tutto pervaso dal fascino delle rose, che invita all’amore con toni festosi di naturale abbandono. Con l’avvento del Cristianesimo la rosa da un lato viene collegata ad alcune figure di sante, come Santa Dorotea – vittima della persecuzione di Diocleziano del 311 d.C.- che miracolosamente fa fiorire rose nei rigori della stagione invernale, mentre da simbolo pagano si evolve in senso sacro con riferimento alla Madonna, mentre d’altro lato nei primi secoli i cristiani tendono a rifiutarla come elemento pagano di mollezza e di lussuria.

    Dopo una coltivazione estesa ed intensa in età romana, anche per l’ampio consumo che si faceva di questo fiore, durante il Medioevo, forse anche a causa di cambiamenti climatici avvenuti in Europa, oltre che per il generale dissesto dovuto alle invasioni barbariche, si verificò un notevole regresso nella coltivazione della rosa. A poco a poco, però, verso la fine dell’Alto Medioevo anche la fioritura della rosa riprese, con ripercussioni pure a livello letterario. In Francia nel secolo XIII fu pubblicato Le roman de la rose, opera di Guillaume de Lorris e di Jean de Meun, in cui al fiore viene attribuito il valore allegorico di femminilità difficile da conquistare, per essere strenuamente custodita e difesa nel giardino d’amore. Anche i trovatori fanno riferimenti alla rosa, soprattutto come termine di paragone della bellezza femminile. In Italia viene composto da un ignoto ser Durante, che alcuni ritengono sia l’Alighieri giovane, il poema Il Fiore, rifacimento del Roman de la rose, ma questo fiore diventa anche simbolo della superbia e dell’alterigia nella Disputatio rosae cum viola del poeta milanese Bonvesin de la Riva. Anche i poeti stilnovistici, come il Guinizzelli ed il Cavalcanti, nominano la rosa nei loro versi e soprattutto ne fanno elemento di confronto della bellezza femminile.

    Con il diffondersi del culto della Madonna, grazie soprattutto ai Domenicani, si consolida il rapporto tra la rosa e Maria, a cui viene appunto dedicata la pratica liturgica del rosario e a cui vengono attribuiti nelle litanie gli appellativi di Rosa Mistica e di Rosa sine spina. Ma la rosa, ritornata ad essere coltivata e diffusa ampiamente dopo le Crociate, anche per l’introduzione in Europa di nuove specie molto apprezzate, diventa elemento forte della cultura e dell’immaginario medievale. Assume infatti anche il valore di simbolo di Cristo, luce del mondo, circolarmente diffusa, tanto che a quest’idea si ispirano i rosoni che vengono aperti, con nuova sensibilità gotica, sulle facciate delle chiese. Ma la maggiore esaltazione della rosa candida è quella che fa Dante, per il quale la rosa è una figura divina: a forma di rosa è appunto l’Empireo dove sono raccolti tutti i beati a godere della presenza di Dio.

    Durante l’Umanesimo e il Rinascimento si recuperano soprattutto i valori simbolici che la rosa aveva avuto nel mondo classico, per cui diventa simbolo di giovinezza destinata ad un rapido sfiorire nelle composizioni di Poliziano e di Lorenzo il Magnifico, immagine di verginità in Ariosto, mentre in età barocca viene esaltata dal Marino come la maggior meraviglia del mondo. In seguito, nonostante l’avvento e la diffusione in Europa di nuovi fiori, provenienti dall’America e dall’Oriente, il fascino della rosa perdura e la sua presenza nei testi poetici si mantiene costantemente alta, con una maggiore attenzione da parte degli autori decadenti, in particolare in Italia con D’Annunzio, e un’ampia presenza nella produzione artistica di gusto liberty.

    Ancora oggi poeti di tutto il mondo continuano a cantare la rosa nelle loro liriche. Leggiamone alcune:

    Un sepalo ed un petalo e una spina

    In un comune mattino d’estate,

    Un fiasco di rugiada, un’ape o due,

    Una brezza,

    Un frullo in mezzo agli alberi –

    Ed io sono una rosa.

    Emily Dickinson

    Ultima rosa

    Ultima rosa, alla luna

    tu guardi, nivea, morente,

    ebbra di celesti amori.

    Dici il mistero della luna

    Perché sei soave olente,

    perché sei splendida e muori.

    Attonita ode la luna,

    tace, ti mira dolente,

    o folle dama dei fiori.

    Antonio Fogazzaro

    In un momento

    In un momento

    Sono sfiorite le rose

    I petali caduti

    Perché io non potevo dimenticare le rose

    Erano le sue rose le mie rose

    Questo viaggio chiamavamo amore

    Col nostro sangue e colle nostre lagrime

    Facevamo le rose

    Che brillavano un momento al sole del mattino

    Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi

    Le rose che non erano le nostre rose

    Le mie rose le sue rose

    P.S E così dimenticammo le rose.

    Dino Campana

    Rosa segreta, sbocci sugli abissi

    Solo ch’io trasalisca rammentando

    Come improvvisa odori

    Mentre si alza il lamento.

    L’evocato miracolo mi fonde

    La notte allora nella notte dove

    Per smarrirti e riprenderti inseguivi,

    Da libertà di più

    In più fatti roventi,

    L’abbaglio e l’addentare.

    Giuseppe Ungaretti

    La rosa che mi hai dato è tanto triste.

    Io non posso guardarla,

    ché in essa vi è qualcosa

    di crudelmente stroncato,

    di serrato dolorosamente

    che solo si può rilevare

    per i petali sgualciti

    e il tenue incarnato in mezzo al verde.

    Serrata tra le pagine

    di una tua lettera bella

    questa rosa mi muore

    lentamente, ma senza pietà

    e mi pare l’amore perduto

    dei giorni sovrumani.

    E tento ancora disperatamente

    di poggiarvi le labbra e risuggerne

    i petali lievi,

    molli tiepidi freschi e profumati,

    come la tua guancia di rosa,

    che mai più potrò ribaciare.

    E di ora in ora

    Sento che questo fiore,

    l’amore che tu mi hai dato

    sta per morire è morto.

    Oh è tanto triste raccogliere i fiori!

    Cesare Pavese

    La rosa

    La rosa,

    l’immarcescibile rosa che non canto,

    quella che è peso e fragranza,

    quella del nero giardino nell’alta notte,

    quella di qualsiasi giardino e qualsiasi sera,

    la rosa che risorge dalla tenue

    cenere per l’arte dell’alchimia,

    la rosa dei persiani e di Ariosto,

    quella che sempre sta sola,

    quella che sempre è la rosa delle rose,

    il giovane fiore platonico,

    l’ardente e cieca rosa che non canto,

    la rosa irraggiungibile.

    Jorge Luis Borges

    Abbi cura

    Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose

    reggendole vicino al fiore per non

    pungersi le dita. Con l’altra mano taglia, si ferma e

    poi taglia ancora, più sola al mondo

    di quanto mi sia mai reso conto. Non alzerà

    lo sguardo, non subito. E’ sola

    con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare,

    ma non a dire. So bene come si chiamano quei cespugli

    regalatici per le nostre nozze tardive: Ama, Onora, e

    Abbi Cura…

    è quest’ultima la rosa che all’improvviso mi porge, dopo

    essere entrata in casa tra uno sguardo e l’altro. affondo

    il naso, ne aspiro la dolcezza, lascio che mi s’attacchi addosso – profumo

    di promessa, di tesoro. Le prendo il polso perché mi venga più vicina,

    i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro

    quel che avverrà: moglie, finché posso, finché il mio respiro, un petalo

    affannato dietro l’altro, riesce ancora a raggiungerla.

    Raymond Carver

    La più classica preparazione con le rose è lo

    Sciroppo di rose

    Raccogliere 500 grammi di petali di rose maggesi, pulirli con un telo asciutto, verificare che non ci siano insetti e togliere la lunette gialla. Sistemarli in un vaso di vetro provvisto di coperchio, versarvi sopra un litro di acqua bollente ed il succo di un limone. Lasciare in infusione per 12 ore, poi filtrare, pesare, aggiungere la stessa quantità di zucchero e far bollire per una decina di minuti. Lasciar raffreddare, poi sistemare in bottiglie di vetro. Attendere qualche giorno prima di assaggiare.

    di Rosa Elisa Gangioia

    Fotografia di Laura Folchi

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