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“Svezzamento: un affare di famiglia”: intervista all’autrice Vera Gandini
In occasione dell’uscita del suo libro Svezzamento: un affare di famiglia, abbiamo intervistato Vera Gandini, pediatra specializzata in alimentazione ed educazione alla salute.
L’autrice si sofferma in particolare sul ruolo che gli adulti hanno in questa delicata fase della crescita. I pediatri e, in generale, gli operatori del settore, dovrebbero fornire indicazioni coerenti e aggiornate riguardo i tempi e i modi di introduzione dei cibi solidi e semisolidi, evitando di fomentare i dubbi e le incertezze dei genitori. Questi, da parte loro, dovrebbero fare scelte alimentari consapevoli, non solo per il bambino, ma per tutta la famiglia, migliorando così la crescita, lo sviluppo e la salute, sia nell’infanzia che nell’età adulta.
Intervista alla pediatra Vera Gandini
Qual è, secondo te, il motivo dell’attuale incertezza e confusione dei neogenitori riguardo allo svezzamento, cioè all’inserimento di cibi diversi dal latte nella dieta del bambino piccolo?
Per un neogenitore sentir parlare di svezzamento, autosvezzamento, alimentazione complementare responsiva, schemi per lo svezzamento o svezzamento senza schemi e senza regole è piuttosto confondente. Persino i pediatri forniscono indicazioni diverse riguardo i tempi e i modi di introduzione, alimentando dubbi e incertezze in una fase delicata della crescita. “Svezzare” significa avvicinare gradualmente il bambino all’alimentazione della famiglia. Se i genitori mangiano bene, anche il piccolo imparerà a mangiare bene.
Le conoscenze sull’argomento si evolvono continuamente; ecco perché è importante che gli operatori si aggiornino e guidino mamma e papà, motivando le loro indicazioni. Se, per esempio, negli anni ‘90 veniva raccomandato di ritardare la somministrazione di cibi allergenici quali pesce, uova, arachidi e frutta a guscio pensando di prevenire il rischio di allergia, attualmente si ritiene che introdurli dai 6 mesi come gli altri alimenti, soprattutto se in contemporaneamente all’allattamento al seno, ne favorisca la tolleranza.
È importante comprendere come, attraverso la scelta dei cibi che portiamo sulle nostre tavole sin dalle prime età della vita, possiamo migliorare la crescita, lo sviluppo e la salute, sia nell’infanzia che nell’età adulta. Mangiare bene da piccoli ci aiuta a stare bene anche da grandi. I primi 1000 giorni di vita, ossia dal concepimento ai primi 2 anni, rappresentano in questo senso una finestra di opportunità unica.
Affrontare questa delicata transizione non può essere un’occasione per ripensare alle abitudini alimentari di tutta la famiglia?
Assolutamente sì. Da genitore ogni fase di transizione ci preoccupa e solleva molte domande. Desideriamo il meglio per i nostri figli e vogliamo arrivare “preparati” per non sbagliare, anche nella fase dello svezzamento. Che cosa deve mangiare il mio bambino perché cresca bene e in salute? Questa sensibilità, così particolare e unica, che ci accompagna nella fase di introduzione degli alimenti, diventa la forza e la spinta a fare scelte consapevoli, non solo per i piccoli, ma per tutta la famiglia. Ecco che lo svezzamento diventa un’occasione per riflettere su ciò che portiamo sulle nostre tavole, sulle nostre abitudini alimentari.
Come scrivo nel libro, il pediatra, prima di dare indicazioni su come condurre l’introduzione degli alimenti, dovrebbe chiedere ai genitori: “Voi che cosa mangiate?”. Perché, se è vero che i bambini imparano più da come ci comportiamo che da cosa diciamo, noi genitori dobbiamo essere d’esempio. Non possiamo pretendere che i nostri figli mangino le verdure se noi non le mangiamo. Le esperienze gustative che proponiamo fin dallo svezzamento influenzano le preferenze alimentari nelle età successive e condizionano la salute fino all’età adulta.
Condividere il pasto e il cibo con la famiglia gratifica il bambino che apprende imitando mamma, papà o i fratelli, associando quel sapore e quell’alimento al contesto affettivo ed emozionale che lo circonda. Ecco perché l’introduzione di un modello alimentare sano sin dalle prime esperienze a tavola, rappresenta un “affare di famiglia”.
Per la tua esperienza, qual è il rischio maggiore insito in questa fase, per la famiglia o per il piccolo, in relazione anche ai tempi odierni?
Viviamo in un ambiente obesogeno, in cui il cibo è a disposizione sempre e ovunque.
Nel libro evidenzio come i bambini italiani siano in buona parte sovrappeso e malnutriti (non nel senso di carenza, ma di mancato soddisfacimento di alcuni nutrienti e di eccesso di altri).
I piccoli, a differenza di noi adulti, mangiano se hanno fame. Se rispettiamo la loro sensazione di sazietà o di fame, fin dall’allattamento, li aiutiamo a mantenere la capacità di regolarsi.
Il compito dei genitori è quello di scegliere cibi di buona qualità, conducendo i piccoli, attraverso lo svezzamento, verso un modello alimentare sano.
La dieta mediterranea a base di cereali integrali, legumi, verdura, frutta, olio extravergine di oliva e consumo moderato di prodotti di origine animale dovrebbe essere alla base delle abitudini di tutta la famiglia. Questo può voler dire non adeguarsi ai prodotti proposti dalla pubblicità, rinunciare ai prodotti pronti e confezionati che i ritmi di vita attuali ci spingono a utilizzare per risparmiare tempo ed energia. Sono sicura che, se ci fermassimo a leggere le etichette, il più delle volte lasceremmo quei prodotti sugli scaffali del negozio. Dobbiamo essere consapevoli che non stiamo nutrendo solo il corpo, ma stiamo formando il gusto e le abitudini alimentari successive.